Il mondo che verrà

“Nulla sarà come prima”, lo dicono in tanti, e in tanti in questi giorni di reclusione forzata iniziano a fare i conti con quella che sarà la propria vita dopo il Covid19. L’augurio è che tutto possa tornare come prima, ma se si utilizza una chiave di lettura psicologica, ciò appare improbabile. Oggi infatti ci troviamo a ragionare sulla possibilità concreta che, una volta passata l’emergenza sanitaria, verranno a mancare quegli elementi intangibili come la Fiducia, la Sicurezza e soprattutto la Prospettiva di un futuro migliore. Tali dimensioni, di natura prettamente psicologica, costituiscono le fondamenta della nostra convivenza e organizzano la nostra Economia.

Ciò che appare evidente è che lo scenario macroeconomico subirà una significativa variazione. Dando per scontato che il 2020 si chiuderà in recessione, con una riduzione del -5/-10% del PIL e un rapporto con l’indebitamento al 150/160%, e che, nonostante i prezzi delle azioni abbiano perso in poche settimane il 40/60%, il ribasso sembra solo l’inizio della discesa, ciò che preoccupa maggiormente è l’impossibilità di fare stime attendibili sui ricavi futuri delle aziende. Per la prima volta dal dopoguerra insomma, ci troviamo di fronte ad una crisi dell’economia reale.
Per capire cosa succederà in futuro, si deve fare lo sforzo di cercare di prevedere quello che sarà il comportamento delle persone una volta superata l’emergenza sanitaria e provare a immaginare l’effetto che tali comportamenti avranno sull’Economia.

Il presupposto da cui partire è che la nostra società si fonda sui consumi, e se questi si fermano, si ferma tutto, a partire dall’offerta di lavoro. Ciò significa che per quanto il Governo la possa sostenere con incentivi, comunque limitati per l’indebitamento, nei prossimi mesi lo scenario più probabile è un aumento deciso della disoccupazione causato dai numerosi fallimenti delle piccole, medie e grandi imprese.

L’aumento della disoccupazione porterà con sé l’instabilità, propria delle crisi, con la relativa crescita di furti, rapine, scippi, ecc., che andranno ad intaccare uno dei cardini che fa da collante alle comunità, la Fiducia negli altri. A soffrire maggiormente in questa nuova condizione saranno coloro che non riusciranno a far fronte ai propri debiti, che realisticamente quindi perderanno i beni di cui sono proprietari, in primis la casa, innescando un possibile ribasso del mercato immobiliare, o comunque una stagnazione dovuta al credit crunch (d’altronde se il lavoro non è garantito, anche le banche tuteleranno i propri interessi).
Lo stesso Stato italiano, per tamponare la situazione, si indebiterà chiedendo degli sforzi ai propri cittadini e ciò si tramuterà in una riduzione dei salari per dipendenti pubblici e pensionati, e un aumento della tassazione per i detentori di rendite mobiliari e immobiliari.

In un tale contesto anche chi sarà riuscito a conservare il proprio lavoro, o addirittura avrà visto i propri ricavi crescere in assenza della concorrenza, sarà comunque condizionato dalla situazione. Se il contesto diventa incerto, la reazione più normale sarà quella di attribuire la propria condizione non alle proprie abilità, ma alla fortuna. Tuttavia siccome la buona sorte può mutare repentinamente il comportamento atteso sarà di tipo conservativo: risparmiare piuttosto che spendere. Un atteggiamento questo che genererà un ulteriore freno alla ripresa economica.

Anche per coloro che dovessero perdere il lavoro temporaneamente per poi ritrovarlo, la dinamica psicologica sarebbe analoga, perché il condizionamento più forte nascerebbe dalla paura provata. In sintesi sia coloro che supereranno la crisi indenni, sia coloro che riusciranno a ricollocarsi dopo aver perso il posto di lavoro, si troveranno a decidere come gestire il proprio denaro stretti tra due poli fortemente condizionanti. Da un lato gli effetti del trauma da “scampato pericolo”, i cui sintomi si manifesteranno con il tempo, e dall’altro il timore che l’esperienza vissuta dagli altri, o in prima persona, possa ripetersi in futuro.

Ora, le reazioni più frequenti alla paura sono l’attacco e la fuga, ma entrambi i comportamenti vanno nella direzione opposta a ciò che invece organizza quel tessuto sociale, ovvero la Fiducia, che rende possibile le prospettive future.
Il fatto poi che a causare tutto ciò sia stato un virus, un elemento invisibile e quindi identificabile solo con il suo pericoloso portatore, rende psichicamente ancora più complessa l’identificazione di quel nemico comune che potrebbe invece unire le persone nella “ricostruzione” di un nuovo tessuto sociale, come spesso avviene dopo le guerre. In questo caso invece il pericolo deriva da tutto ciò che è altro da me, e un tale pensiero, più o meno inconscio, non fa che alimentare ulteriormente la Sfiducia.

Gli antidoti a questa crisi vanno quindi dosati bene, perché se da un lato le risorse sono scarse, dall’altro bisognerà scegliere con cura dove andarle ad iniettare, tenendo conto di quegli indicatori psicologici che sono il basamento su cui ricostruire il senso del nostro essere comunità, per far ripartire l’economia, i consumi e soprattutto le relazioni umane. L’helicopter money ad esempio funziona se le persone i soldi li spendono, ma per spendere c’è bisogno di sentirsi sicuri di avere una prospettiva. Servono interventi mirati a ricostruire quel contesto istituzionale che sostiene e si pone al fianco di chi decide di investire. Bisogna avere in mente un’idea di futuro realizzabile e fare delle scelte, scontentando qualcuno, per guidare il Paese in una direzione e non distribuire incentivi a pioggia. Urge una grande riforma dello Stato e delle Regioni che valorizzi davvero il merito dei dipendenti pubblici, che sono il braccio operativo nella ricostruzione, e la performance dei servizi offerti. C’è insomma necessità di istituire un nuovo patto di fiducia tra cittadini e istituzioni fondato su un impegno reciproco per traghettare l’Italia in una nuova prospettiva.

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